GNAM, finalmente il CROMuseo

Riassunto

Nel corso degli anni abbiamo realizzato tante opere assieme alle persone che abbiamo incontrato. Una selezione di questi lavori è stata esposta durante l'evento GNAM ed è stato come lo avevamo immaginato quando abbiamo ideato il Cromuseo, uno spazio espositivo, interattivo ed esperienziale. Finalmente il sogno è realtà!

In una calda giornata di giugno, varco il cancello di un’area nel comune di Cormano. Sulla recinzione spiccano locandine in cui giganteggia la scritta «GNAM, la bellezza vien guardando, notando, ascoltando, mangiando». Il manifesto parla di un’esposizione di «opere artistiche multisensoriali». Segue «serata musicale con jam session». È l’evento che stavo cercando!

 

Scendo un leggero dislivello e mi ritrovo in prossimità di una casetta in legno e di un gazebo sotto al quale alcuni giovani accolgono i visitatori. Si distinguono per sorriso e cortesia ma ancor prima per la maglietta che indossano: è bianca con la scritta GNAM colorata, anticipata da una nota musicale incastonata in un cerchio di Itten privo di uno spicchio che lo rende una sorta di Pac-man, il che avrebbe senso considerato il titolo. Sulla sinistra vedo un totem, una colonna di pannelli esplicativi che introduce il tema dell’evento e che parla dell’associazione organizzatrice tramite didascalie e fotografie di laboratori artistici e musicali. È il momento di incamminarsi.

Costeggio la “baita” e percorro un corridoio a cielo aperto con adagiati pezzi di carta variopinti sul lato vicino alla recinzione: si tratta di cerchi colorati collegati da un mosaico di frammenti disposti per ricreare le sfumature dell’arcobaleno. Sembrano quasi pianeti di un universo meraviglioso, immersi in una fascia di asteroidi. Sulla superficie dei cerchi leggo dei nomi e scopro che questi lavori sono il frutto di un percorso di crescita che porta dalla conoscenza di sé alla scoperta dell’altro, passando anche attraverso fasi di rottura e di ricostruzione.

Costeggiata la baita, vicino all’angolo della parete, si trova una cartina dell’Italia, anch’essa sgargiante ma come mutilata. Mancano un sacco di pezzi quadrati che svuotano l’immagine come pixel che disturbano la visuale. Al loro posto compare una superficie riflettente in cui specchiarsi: interessante questo ribaltamento dei rapporti tra assenza e presenza.

Svoltando l’angolo lo sguardo cade sull’ennesimo trionfo di colori: adagiato sul prato, come un enorme tappeto, si trova un quadrato nero con inscritto un altro cerchio anch’esso ricco di tinte vivaci. Dal centro si diramano strade bianche, connessioni che esondano mutando colore e svanendo con discrezione, ma se solo sposto di poco lo sguardo mi accorgo che, guardando lontano, rischiavo di perdermi quel che era già a portata di mano: sul tavolo un launchpad, sulla parete dei pannelli e un invito: «attaccati: fai qualcosa, lascia il segno». Il movimento delle mie mani sul dispositivo produce un suono che si somma alla melodia costante emessa dalla cassa. Di tanto in tanto si possono udire note vivaci, testimonianza lasciata da chi mi ha preceduto nella visita. Poco distante un tavolo pieno di quadratini di carta e di materiali grafo-pittorici di tutti i tipi, attira i passanti perché lascino un segno visibile anche sui pannelli candidi accanto al launchpad. Gli strumenti a disposizione rispondono alla gamma di personalità di tutti quelli che interagiscono e il risultato è evidente nella varietà di segni tracciati e di colori disposti. È un caos vibrante di incontri che trovano un loro ordine nel percorso che ne nasce.

Dopo aver interagito con una Tela Sonora piena di Qr-code pronti a riprodurre il timbro degli strumenti più curiosi e bizzarri, entro nella baita. Arrivo nei pressi di un tavolo sul quale sono disposti degli stetoscopi. Ne prendo uno e comincio a sondare i recipienti colmi di materiali diversi. Ascolto la sabbia, percepisco l’assenza nel silenzio dell’aria che riempie un recipiente vuoto; mi arriva il suono del contatto con la carta strappata e accartocciata: sembra un fuoco scoppiettante; infine l’acqua immerge, attenua i rumori e avvolge nella sua presenza ovattata. Un’esperienza sensoriale da vivere proprio sotto a una trapunta di eleganti opere appese al soffitto, vele dai toni caldi e freddi al contempo, con un carattere primitivo eppure giovane e vibrante, differenti per stili e segni rappresentati, anch’esse volto dei quattro elementi.

La sala sembra una stanza delle meraviglie con strumenti affascinanti in grado di ricreare il frastuono del temporale a pochi passi da un cielo sereno disteso sul pavimento, con bassorilievi di carta solidificata, nuvole bianche simili a isolotti sparsi tra sfondi azzurri e oro. Poco distanti, alcune formelle colorate sono percorse da incroci di linee rette, bianche strade di una città scomposta e rinata opera astratta.

Non ho pagato alcun biglietto eppure ho osservato lavori di qualità, e stavolta questa mostra non è frutto dell’immaginazione.

Nei cinque anni di attività di Associazione Croma, è capitato spesso di immaginare un luogo che potesse accogliere e conservare le numerose opere prodotte con i bambini che abbiamo incontrato. Lo abbiamo sognato e lo abbiamo chiamato Cromuseo, ne abbiamo creato una versione virtuale sul sito ma non abbiamo mai smesso di immaginarcelo. Con la mente abbiamo viaggiato e abbiamo fatto Ritorno al Cromuseo, visualizzandolo come «un museo abitato […] non come luogo di visita occasionale ma come moltiplicatore sociale».

Finalmente il sogno è divenuto realtà e la cosa bella è che, sebbene si sia trattato di un evento provvisorio, è nata una copia fedele di quanto avevamo immaginato: uno spazio in grado di valorizzare i prodotti artistici realizzati e al contempo un luogo in cui sperimentare con piacere, incontrare gente e socializzare. La cosa bella è che ora che abbiamo imparato a sognare non vogliamo smettere!

 

Testo di Stefano Sorgente

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