Ritorno al Cromuseo

È trascorso un po’ di tempo da quando, passandoci davanti, decisi di visitare quel museo. Ora, leggo l’insegna e lo riconosco subito (Cromuseo). Non sembra cambiato più di tanto dalla scorsa volta, ora come allora appare un edificio come tanti, nessun particolare conquista i miei occhi, non una struttura da Archi-star, non luci e decori attirano la mia vista, non squillanti pubblicità vomitano il loro inganno per visitatori distratti. Nonostante ciò mi ricordo che una volta entrato mi era parso qualcosa fuori dal comune e in effetti lo è. Entrando nuovamente noto subito che gli spazi interni, da come li ricordavo, si son modificati e sono migliorati nella qualità espositiva, nei contenuti, nella quantità di aree, sale e percorsi. Mi accoglie sempre il grande salone d’ingresso: di luce ne entra un po’ meno perché, al contrario della prima volta, oggi il cielo è un cartoccio di nuvole senza sole. Nonostante ciò mi si fanno incontro i vividi colori delle installazioni a parete e sul pavimento. Gli interni son migliorati nella pulizia architettonica che dona molto più valore alle opere. Nel museo è rimasta la galleria dei suoni e quella delle foto e scritte, i saloni delle pitture e la sala delle sculture, ma molto altro si è aggiunto. Noto subito che anche nell’aria è cambiato qualcosa. Non trovo più quel silenzio riflessivo che mi ha accolto la prima volta, ora c’è il suono di voci che chiacchierano, che ridono, che guardano e discutono, che giocano e si divertono, che esplorano e che scoprono. Effettivamente quel che ora ho intorno a me non è più solo un contenitore di opere ma è un museo abitato.

Le opere che mi ricordavo ci sono ancora, non tutte però: alcune son state sostituite da altre. Infatti dal depliant che ho preso all’ingresso leggo che la collezione del sito museale non è permanentemente fissa. L’allestimento cambia periodicamente rendendo gli ambienti sempre diversi e trovando accostamenti sempre nuovi. Questo anche per motivi di spazio: son troppe le opere per poterle esporre tutte insieme. Leggo anche che molti dei lavori in realtà, oltre a non avere forme e dimensioni fisse, non sono neppure finiti. Sono incompleti perché man mano vengono composti dai visitatori e dai laboratori che vengono svolti nelle scuole o in altri contesti. Questi non finiti esposti sono soggetti a continue variazioni, ogni volta se ne aggiungono dei pezzi. Il depliant che ho in mano è ben fatto, all’inizio sembrava piccolo ma, in modo molto pratico si spiega in una sorta di cartina dalle mille forme. Dalla mappa disegnata noto che ci sono ambienti nuovi e son quasi tutti al secondo piano. Ed è effettivamente là, dove la prima volta avevo trovato il cartello dei lavori in corso, che si aprono nuove sale e nuove aree. Potendole attraversare vedo tanta gente che crea e condivide, che scopre e se ne rallegra. Le prime stanze sono quelle laboratoriali dove si portano avanti le tecniche e si esplorano i materiali che si son visti anche nelle sale espositive. Dopo queste sale si accede ad una specie di corridoio ma molto più largo e da un lato interamente vetrato. Al suo interno ci sono moltissime postazioni dove si approfondiscono le conoscenze legate al colore o alla musica, ma non solo. Dei giochi-esperimenti che creano un percorso. Adulti che esplorano dei prismi e la scomposizione dei colori, bambini che spostando dei cubetti disposti su un tavolo compongono musica. C’è una postazione anche dove si può ricondurre il suono ad un certo tipo di materiale oppure anche grandi lavagne magnetiche dove con calamite apposite si possono creare sovrapposizioni e accostamenti per scoprire paesaggi o fusioni tra colori inaspettate. In fondo c’è anche un piccolo vano dove ci si può divertire a doppiare canzoni. Poi noto a lato del corridoio, dalla parte non vetrata, un divisorio che va da pavimento a soffitto. Corre lungo la linea della parete principale e ne è distanziato di circa due metri. Si viene così a formare un ben più stretto passaggio lungo una decina di metri non attraversato dalla luce dell’ambiente generale. Entrandoci e percorrendolo, quasi al buio, ai lati si possono toccare moltissime superfici di natura diversa, piacevoli o meno, lisce o ruvide. Un gioco sensoriale molto stimolante. Potrei elencarne tantissime altre di queste postazioni.

Dopo questo immenso spazio si trovano altre piccole sale che tornano ad essere espositive ma con lavori che vengono detti in prestito. Funziona un po’ come i libri nelle biblioteche. Qui i lavori, di dimensioni più ridotte, vengono prestati a chiunque ne sia interessato per un certo periodo. Per motivi di studio, di piacere o per motivi di lavoro. Il museo si è ampliato e lo ha fatto armoniosamente con quanto c’era già. Ha mostrato in questa maniera ciò che sta dietro le quinte di un lavoro esposto in tutte le sue sfaccettature. Ambienti di gioco e di scoperta, ambienti di studio e lavoro. Sale dove il fruitore è in primo piano nel suo rapporto con il fare artistico e quello musicale. E ancora sale prova e sale conferenze, spazi di libero scambio e spazi dove il quotidiano entra e si intreccia con l’arte. Museo non come luogo di visita occasionale ma come moltiplicatore sociale.

Francesco Serenthà

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