Cromuseo

Riassunto

Viaggiamo con la fantasia: Francesco crea e ci presenta il Cromuseo, uno spazio immaginario che raccoglie i nostri lavori sul campo e il nostro modo di operare.

In cima a questa imponente scalinata, della quale mi trovo ai piedi, si aprono le porte di un museo. Non è un palazzo storico né un palazzo signorile, ma resta comunque un bell’edificio, armonico con il contesto, con la sua piazza antistante, con le strade di periferia che lo circondano e con le persone che ogni giorno lo incrociano.

Una panoramica sulle opere di Croma

Varcata la soglia, appare dinnanzi agli occhi un grande salone attraversato dalla bella luce di questo giorno assolato, dove alle pareti, e in parte anche sul pavimento, si trovano esposte installazioni artistiche. È il salone centrale e sembra essere dedicato ai lavori più grossi, tutti mossi da gesti pittorici. Nessuna scritta, nessuna didascalia ridondante e apparentemente nessun autore.

Lo sguardo incontra subito forme e colori ma non solo. Incontra anche i gesti e i pensieri che hanno anticipato i segni che vedo tracciati sui vari supporti. Rosso, giallo e blu che si impastano su una serie di riquadri facendo nascere altri colori; un tappeto di carta con una mappa dalle strade bianche e gli isolati multi-colore; composizioni con lettere e misteriosi simboli; triangoli di terra, acqua, fuoco e aria.

Partecipare all’opera

C’è un passaggio in fondo alla sala che conduce a un’altra di dimensioni più ridotte. Tutto intorno alle pareti sono disposti dei piedistalli, parallelepipedi alti e bianchi. Sopra strane sculture, sempre bianche, che sembrano composte da piani e mattoncini che si intersecano e si incrociano, si sovrappongono e si superano guadagnando in altezza e assumendo un aspetto tutt’altro che stabile. Un soffio di vento potrebbe tranquillamente farle traballare e rovinare al suolo.

Al centro della sala una montagna degli stessi mattoncini di diverse dimensioni: evidentemente io e qualsiasi altro visitatore siamo invitati a comporre una scultura instabile, provare a montare e smontare, impilare e costruire. Infatti qua e là per la sala, sul pavimento ne vedo alcune abbozzate, alcune crollate e altre, più stabili, che resistono ancora.

Immersione tra suoni e strumenti

Oltrepassata la sala delle sculture mi ritrovo di fronte ad un lungo corridoio con il soffitto a volta e in fondo una scala di cui si vede l’inizio ma non la fine. Ai lati di questo corridoio si aprono delle micro-stanze e da ognuna di esse si sente provenire un suono. In questi piccoli “regni” musicali, strumenti e parole si intervallano e si sovrappongono, composizioni e pattern, ritmi e canzoni. Ogni stanza porta l’udito su toni e contesti differenti. Voci adulte e bambine cantano di tribù e di viaggi, strumenti diversi descrivono sensazioni e immagini disparate, violini, tamburi, flauti e tanti altri.

Nell’ultima stanza invece che esserci suoni ci sono strumenti che credo si possano prendere e provare a suonare. Pizzicando le corde di una chitarra però sento che dopo qualche secondo le stesse note che ho suonato sono trasmesse da casse posizionate agli angoli tra le pareti dove iniziano a rincorrersi e a rimbalzare. Prima le sento a destra, poi in alto e poi dietro di me. Queste si mischiano ad altre note di strumenti sempre da me suonati nel frattempo e compongono nella stanza una musica particolarmente strana e solo mia in un gioco di rincorsa, rimbalzo, alternanza e sovrapposizione che mai avrei immaginato.

Arrivato alla conclusione di questa specie di galleria di suoni inizio a salire la scala che mi conduce al piano superiore dove un altro salone è riempito con altri lavori di natura perlopiù pittorici. Su tutti mi colpisce una grande pannellatura a parete che riproduce uno strano mappamondo. Insolite terre emerse che ricordano forme e sagome di oggetti già conosciuti ma che mischiandosi e incontrandosi tra loro formano continenti immaginari.

Frutto di un lavoro sul campo

Passato questo salone mi trovo in una nuova galleria insieme ad altre sale. Si capisce che cambia il tipo di fruizione: niente più opere ma fotografie e scritte. Immagini che raccontano chi ha fatto e come è stato creato tutto ciò che ho appena visto nel museo, gesti e azioni in contesti differenti, parole e titoli di lavori, di musiche, di attività. Testi e articoli che parlano di progetti, di tecniche, di storia dell’arte e musica, momenti e aneddoti su chi ha realizzato le opere.

Con queste ultime sale si chiude il cerchio, si spiega il contesto e si riallacciano pitture, musiche e sculture a queste immagini e scritte. Si inquadra l’operato dell’associazione Croma e il suo impegno per promuovere l’arte e la musica per il bene. Posso capire le tecniche usate e il perché, comprendo come certi intenti artistici o musicali sono nati e crescendo hanno cambiato a volte rotta. Un’ultima sala attira la mia attenzione prima di uscire dal museo: apparentemente vuota porta sulla soglia la scritta “Lavori in corso”.

Utilizzata spesso in questo breve testo, la parola arte è, come tutte le altre: vagabonda. In queste righe non c’è la volontà e la pretesa di appiccicarla ai tanti lavori che Croma ha prodotto in questi anni. Ma l’esperienza immaginifica di avere un luogo dove esporre gli elaborati, risultati dai processi delle attività artistico-musicali, è troppo bella e ha avuto il bisogno di essere tradotta in queste parole. Chissà se questo e tanto altro un giorno potrà avverarsi.

Francesco Serenthà

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