Il museo che (non) c’è

Ero ai primi anni del liceo e la professoressa di architettura disse una cosa che non scorderò mai: camminare per strada, attraversare le piazze e girovagare per la città equivale a vivere in un museo a cielo aperto. Quella frase, che allora era suonata un po’ retorica e passata di certo inosservata, negli ultimi anni ha cominciato a tornare alle mie orecchie con insistenza. In effetti se noi pensiamo al museo non solo come un deposito di cose vecchie ma come un concentrato di civiltà è facile notare come si è immersi in un unico grande museo, talvolta eccentrico o stravagante e di sicuro molto variegato. È un museo che per tema ha l’umanità e i suoi aspetti, e uno di questi è anche l’arte. Essa quindi non è solo quella che andiamo a vedere a pagamento in collezioni dedicate o mostre, ma è anche quella che è intessuta negli angoli e nelle strade delle nostre città e dei nostri paesaggi. Non ha assolutamente senso pensare al museo come un deposito e magazzino o per contro a qualcosa di sacro, dove tutto quel che ne fa parte assume un automatico valore ultraterreno solo perché antico o oggetto artistico. Penso che, scrollandosi gli occhi da musei polverosi e musei consacrati, sia più giusto vedere questi luoghi come fatti puramente umani. L’arte poi, è magica non perché sia un elemento sovrannaturale ma perché può essere trovata dove non la si aspetta. Questo a patto di avere con lei un rapporto quotidiano e un dialogo ordinario anche con ciò che la precede ovvero la creatività.  Per se stessi e per il proprio benessere. E dove non sembrano esserci luoghi interessanti per un museo possono essere le piccole cose a stupirci.

A questo proposito mi vengono in mente alcune pagine scritte da Munari in cui racconta della creazione di un museo dove prima non c’era. O meglio, il museo era silenziosamente presente e si trattava solo di portarlo a galla nei pensieri e dargli voce. È l’esperienza di un museo effimero, nato per gioco e divertimento ma testimone di grande spirito creativo. Queste pagine raccontano di come Munari, trovandosi in un vecchio casolare su un’isola fece nascere un museo dal niente: alcune macchie di muffa sulla parete si trasformarono, ai suoi occhi, in tante isole di un arcipelago attorniato da un mare di intonaco. Applicando, tramite piccoli foglietti, i nomi alle isole la parete diventò automaticamente un’immensa cartina geografica. Dopo di che, grazie allo spirito del gioco per le relazioni visive gli oggetti della stanza cominciarono a diventare altro da quel che erano. Rami lisci e levigati dall’acqua del mare assunsero la sembianza di sculture preistoriche. E così apparvero anche delle schegge della gamba di legno di un pirata, una cintura di castità eoliana, sassi lignei galleggianti e tanto ancora. Tutto venne esposto e venne organizzata perfino un’inaugurazione.

Esempi come questo potrebbero essercene di infiniti e non solo nel micro-cosmo degli oggetti intorno a noi, ma anche nel macro-cosmo italiano delle nostre città e paesaggi. Questi ultimi appartengono al museo a cielo aperto che è solo nostro, per bellezza, ma forse soprattutto per valore e purezza, importanti per noi perché anche se a volte antichi o mal ridotti vivono con noi nella nostra con-temporaneità. Se giustamente trasposto, penso, potrebbe esistere anche un museo delle relazioni che ognuno di noi tiene con gli altri, importanti o meno che siano, un museo immateriale fatto di gesti, parole e azioni. Questo per dire che il mondo attorno a noi può davvero assumere, in potenza, l’aspetto di un museo che (non) c’è, l’immagine di un qualcosa per noi prezioso, giocoso e ironico, triste o malinconico, con storie da raccontare. E tutto questo parte da noi e dal nostro rapporto con la creatività. Creatività di pensiero e creatività d’azione. Tutto si lega, per tornare a Munari, alla conoscenza della mutazione. Un dato che parte dalla realtà e che tramite il processo creativo ne arriva ad un’altra. Mutazione che fa parte del mondo in quanto esso è in costante cambiamento.

Queste pagine sono state per me pretesto di riflessione. Ennesima lezione che il quotidiano può insegnare a chi è disposto a rovesciare il suo sguardo sul lato più nascosto della realtà, senza escluderla ne eluderla. È bello poter pensare che il rapporto con l’arte e la creatività può essere un fatto quotidiano e non solo quando si va a scuola o si entra nei musei.

Testo di Francesco Serenthà

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