Addentrarsi in un posto conosciuto può sempre donare qualche cosa di nuovo, un’esperienza, un’emozione o una visione che non ci si aspettava. Questo aumenta esponenzialmente quando si varcano i confini di un paesaggio mai visto prima e dove solo l’immaginazione era riuscita ad arrivare. È proprio vero, l’arte non esiste solo nei musei e nelle città, ma anche dove meno te l’aspetti.
È una giornata splendente d’agosto e mi trovo fuori confine in un luogo che sulla mappa appare come un torrente strozzato da muri di roccia. Parcheggio l’auto e noto un rumore di un violento scrosciare d’acqua tra massi. Pian piano si sente l’umido avvicinarsi e, seguendo un sentiero in discesa che supera una sottile fascia di alberi, ecco apparire una gola dalle rocce incombenti e poco più in basso un corso d’acqua maleducato e chiassoso. Esiste una passerella sopraelevata che segue il torrente che scivola, si capovolge e canta nel suo letto disconnesso e, seguendo questa strada di legno, si può star sospesi sul limpido scorrere dell’acqua che alterna momenti calmi a momenti agitati. Il paesaggio è molto bello, sembra di stare dentro a una profonda ferita e il bagliore che arriva dall’alto dona una luce unica alle rocce e al torrente. Il tutto dura qualche centinaio di metri dove la passerella cambia sponda più volte grazie a robusti ponti. All’improvviso il paesaggio si apre ed è qui che l’inaspettato si palesa. I muri di roccia si abbassano e il torrente, oltre che scorrere più dolcemente, si concede qualche riva sassosa. È su una di queste che noto numerose torrette costituite da sassi impilati che i numerosi passanti devono aver costruito con le pietre del torrente. Sono moltissime, semplici sassi impilati che a volte raggiungono altezze rischiose e inimmaginabili. Tracce del passaggio come fragili e delicati rimedi per l’eternità. Scendo la riva e provo a farne una anch’io: il cercare i sassi giusti, pulirli dal fango e ricomporli in un delicato equilibrio che si innalza sempre di più, decostruire per ricostruire una più saggia stabilità hanno avuto su di me un effetto quasi rituale. In quel momento ero sospeso tra l’azione e un prodotto che stanno nell’anticamera dell’arte, che la precedono. Nel tempo ho trovato in questo processo un grosso potenziale terapeutico e quasi inconsciamente l’ho proposto più volte in sede di laboratori ed incontri.
Una ricerca di equilibrio che passa dalla distruzione e dalla ricostruzione, e una strada per la stabilità che passa dal rischio e dalla sfida: questi forse gli ingredienti necessari per una maggiore conoscenza del sé. Avere a disposizione frammenti con forme e pesi diversi e far nascere da questi un’immagine unitaria, provando e riprovando numerose combinazioni comporta gesti delicati e all’inizio insicuri ma via via sempre più consapevoli.
Tutto questo penso faccia parte di una pratica di arte terapeutica che sfrutti gesti e situazioni universali che, posti nell’anticamera dell’arte, portano a un fare proteso al ricombinare il mondo. Non solo il mondo della persona e il confronto con il mondo circostante, ma anche il mondo di un gruppo.
Proprio per questo l’esperienza è stata proposta anche a gruppi-classe ovviamente rispettando il relativo contesto e aggiustando richieste e obiettivi, facendo diventare l’azione singola un’azione corale dove l’unione dei partecipanti può misurarsi con se stessa. È da questi percorsi che passa l’idea che nella costruzione di un qualcosa, che sia una torre fatta di sassi o polistirene o di qualcos’altro, si passa inevitabilmente da una tappa dove la sfida è far rimanere tutto in equilibrio e dove una sola folata di vento o un frammento disposto per il verso sbagliato può farne crollare delle parti. Ma questi non sono eventi per forza negativi se tutto ciò viene visto da lontano e con i dovuti cambi di prospettiva.
Nelle scuole e nei musei dove si mettono in pratica queste azioni la frase che mi viene più spesso da dire è che quel che si distrugge si può ricostruire: sembra una banalità ma in fondo è vera, anche perché a volte è solo se si decostruisce, solo se si smonta qualche pezzo che si può ricombinare il mondo meglio di prima.
In questo caso e come già scritto in un precedente articolo (Diram-azione: fiumi pittorici per piccoli adulti) l’arte è capace di armonizzare il disordine in un delicato rapporto tra equilibrio e caduta, confusione e controllo.
Testo di Francesco Serenthà
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