Un angelo in rovina

“Siamo il paese più bello del mondo!”; pensiero talvolta sostenuto con orgoglio, a volte espresso per autodifesa o per primeggiare in un’immaginaria competizione tra stati e nazioni. Siamo proprio sicuri che sia così? Siamo certi che facendo quattro passi in giro per tutta l’Italia i nostri occhi si riempirebbero solo di meraviglie? La bellezza è una conquista su cui il nostro paese ha lavorato e ha costruito per secoli, ma è uno stato d’essere talvolta effimero. La bellezza con il tempo si è fatta fragilità. Il dire che siamo la nazione più bella al mondo equivale al dire una frase esclusiva, ovvero che esclude tutta una parte d’Italia che per varie ragioni non è considerata bella o interessante. Le zone periferiche delle nostre città, le zone industriali e portuali, palazzi ed edifici con rilevante interesse storico-artistico ma decadenti o chiusi, paesaggi dimenticati in preda a incendi e malattie. Escludere può essere anche sinonimo di dimenticare.

Due lati della medaglia: uno quello della bellezza costituito dalle solite poche attrazioni, quelle più famose in tutto il mondo sulle quali si può fare cassa sicura. Città che da spazi urbani si trasformano in luna park e musei che diventano luoghi poco confortevoli, come quegli ascensori troppo piccoli per le troppe persone che vorrebbero salirci. In questi musei talvolta si preferisce guardare alla quantità delle visite e non alla qualità. L’altro lato appartiene al regno dell’ombra: periferie e monumenti in disuso. Questi ultimi sono la nostra contraddizione. È inutile che sosteniamo di vivere nel paese più bello del mondo e con spirito d’orgoglio dichiarare che in Italia esiste la maggior parte del patrimonio globale se poi di quel patrimonio non ce ne prendiamo cura. Anzi, a volte sembra non interessi proprio: fuggiamo all’estero in cerca di tesori evitando di esplorare il nostro territorio. Palazzi signorili, biblioteche storiche, ville dei più svariati stili architettonici, chiese e piazze. Sul nostro paese esistono decine e decine di siti caduti in disgrazia, dai più isolati fino addirittura a quelli nei centri delle nostre città. Confiscati, chiusi al pubblico, decadenti e fatiscenti, puntellati per restauri che dopo anni e anni sono ancora in essere. Dai centri più grandi a quelli più piccoli, da nord a sud. Penso che le mosse da fare a questo punto siano due: una che dovrebbe arrivare dall’alto, dai nostri governi e l’altra che potrebbe arrivare da noi cittadini. La salvaguardia del patrimonio è in fin dei conti la salvaguardia di noi stessi. Conoscenza è salvaguardia e quest’ultima è cura. Vivere conoscendo il proprio contesto storico e culturale, artistico e sociale credo possa veramente dare una mano agli individui a vivere meglio. E questo non farebbe bene solo a noi ma anche al patrimonio poiché la conoscenza è alla base della tutela. Allora perché non cominciare ad aprire gli occhi e guardarsi intorno scoprendo così di abitare in un paese dove anche nei più piccoli centri esiste qualcosa di cui vale la pena conoscere. Perché non far rientrare nel circolo culturale anche le periferie delle nostre città. Un circolo che comprenda musei, ricerca culturale, piazze come luoghi d’incontro e di confronto, mostre ed eventi mirati e mai banali. A molti queste parole potranno risultare vaghe e di certo con esse, qui, non si vuole sostenere che la conoscenza per la tutela sia cosa facile e semplice poiché non lo è. Sono solo un tentativo che cerca di capire o quanto meno di porsi la questione su come riempire quel vaso che abbiamo disposto su un bel piedistallo e su cui è presente la scritta: “L’Italia è il paese più bello del mondo”. Piccoli passi si fanno già quotidianamente grazie alla divulgazione di programmi e riviste, ad artisti e fotografi che esplorano questa seconda faccia dell’Italia e ce la restituiscono.

L’Italia probabilmente non è la nazione con più patrimonio al mondo ma di sicuro è un patrimonio che ci contiene. Ed è con questo pensiero che forse oltre ai grossi blasonati musei (che talvolta tentano di scimmiottare numeri ed esperienze straniere) scopriamo piccole e preziose raccolte disseminate su tutto il territorio. È così che al di là delle città-luna park, affollate e gremite di eventi costruiti a tavolino, appaiono piccoli centri isolati con altrettanti tesori e storie da raccontare. Come detto poche righe più in su il patrimonio, l’arte e la storia ci contengono e il nostro tender loro la mano è un atto che facciamo verso noi stessi.

Testo di Francesco Serenthà

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