Città patrimonio dell’uomo

Una volta ho letto su un libro che l’arte in Italia è un fatto ambientale. Letta così di sfuggita potrebbe sembrare una frase senza un particolare significato profondo e testimone di verità. Sembra una connotazione opaca che però essendo aperta può permetterci un piccolo esercizio seguito da una semplice riflessione. Allora immaginiamo di avere tutti in mano questo libro, leggiamo ad alta voce questa frase e lo richiudiamo; infiliamo le scarpe e usciamo di casa. Nel mio caso, fuori dalla porta mi trovo subito immerso nel reticolo cittadino, segmenti di vie che si toccano, si incontrano e si scontrano, si stringono la mano formando una piazza, vicoli timidi e introversi, viali gioviali e rumorosi. Abito in periferia di una grande città lombarda, una periferia come tante altre. Se per un attimo però faccio finta di dimenticarmi il nome di questa città, la periferia assomiglia a tutte le altre periferie che ho visto. Non ha carattere né punti di riferimento. Essere in periferia a Monza equivale ad essere in periferia a Reggio Emilia o in quelle di Milano, Firenze o Padova. Insomma, è vero che c’è periferia e periferia, ci sono quelle più critiche e difficili e quelle meno, ma la maggior parte si assomigliano tra loro, nell’aspetto e non solo. Avendo notato questo, grazie al mio vagabondare mi chiedo semplicemente come sia possibile. In genere un luogo non può essere uguale ad un altro, non può essere simile. Come può uno spazio non avere una sua identità? La mia immaginazione comunque continua a espandersi e camminando per le vie giungo verso il centro cittadino. Qui sì che mi sembra di essere tornato nella mia città, che ha un nome, che ha una storia e una cultura. Monumenti curati, targhe, piazze, luoghi di interesse, zone vive e attrazioni. Ma perché questa differenza tra centro e periferia? Forse perché quest’ultima è sempre più lontana dai propositi culturali della società, dai discorsi di intellettuali e politici sull’arte e sulla relazione. Effettivamente le periferie non sembrano essere utili e adatte per creare denaro, non sono un patrimonio da spolpare, strumentalizzare ed economizzare; territori senza particolare interesse. Sono luoghi depositi di scatole-palazzi, di problemi con la criminalità, di persone che, chissà come mai, non si sentono di appartenere a quello spazio e a quella città. Ora la frase che ascolto spesso pronunciare “l’Italia è tutta bella” sento profondamente non essere vera. Non è vera perché nel dire ciò ci si dimentica spesso dei luoghi dove abitiamo, dove viviamo solo come presenze e spettri e non come cittadini consapevoli. Fortunatamente l’arte continua ad insegnarmi che questi luoghi hanno un enorme potenziale e l’atto terapeutico che essa può far arrivare, risveglia le persone e fa comprendere che uno spazio è migliore se ci si rende partecipi. Per questo l’arte è e deve essere un fatto ambientale, perché in Italia basta camminare per strada per trovare grandi cose e insieme trovare noi stessi. E pensate…tutto questo non ha un prezzo! La sfida è riuscire ad ampliare il discorso anche in quei luoghi dove questo non sembra possibile.

Certo…ci sono le città patrimonio dell’Unesco, le città d’arte e le città brand, ma nel patrimonio con la “P” maiuscola non ci sono solo quelle. Ogni cittadino ha come patrimonio personale e collettivo la sua città, il suo paese, il suo borgo. Luoghi vissuti come ombre che appartengono al proprio essere. Contesto che modifica se stesso, modifica chi ci vive a partire da chi ci vive. Le città sono l’intreccio che ci ospita e ci rispecchia. Noi siamo in fondo il punto di congiunzione, la tangente e il ponte tra la città esteriore che ci contiene e la città interiore abitata dai nostri sogni e paure, dai nostri timori ed emozioni, il reticolo delle nostre relazioni e dei nostri saperi.

Qui non si sta parlando solo di urbanistica o di gestioni comunali, ma si sta parlando anche di arte anzi, di quello che viene prima dell’arte ovvero di patrimonio e di bene culturale. Fattori che sono imprescindibili per il nostro vivere nel mondo perché non sono disgiunti da noi, ma siamo noi. Basta solo accorgersene. Questi pensieri nascono da una piccola frase su un libro, da poche parole giustapposte su un foglio di carta. E poi qualcuno dice che leggere non serve a nulla…

Testo di Francesco Serenthà

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