Lo spazio nella scuola

Era una sera tarda d’autunno e dopo la breve condivisione serale ci ritirammo tutti quanti nelle nostre tende. Nonostante fosse stata una giornata abbastanza lunga e faticosa con diverse ore di cammino alle spalle non riuscivo a prendere sonno e continuavo a girarmi e rigirarmi nel sacco a pelo. Non avevo nulla da leggere e stare a girarsi i pollici in una tenda mentre i tuoi compagni dormono è abbastanza noioso; allora occorsero pochi minuti per capire quel che dovevo fare: presi taccuino e penna, mi rivestii il più silenziosamente possibile e usci allo scoperto. Richiusa la tenda mi diressi non lontano dal campo: al centro della radura accanto al luogo dove avevamo montato le tende si trovava un grosso ceppo di quello che tempo prima doveva essere un albero gigantesco; sedutomi su di esso cercai la posizione più comoda e cominciai a guardarmi intorno. C’era un’atmosfera surreale e la temperatura era piacevole: non riuscivo esattamente a capire perché ma c’era un qualcosa che mi faceva stare bene! Da quel punto, leggermente rialzato al centro del grande spiazzo ondeggiante ricoperto d’erba e confinato da folle di tronchi e rami, si potevano vedere molte cose. La notte e il clima mi donavano una visione incantevole del luogo nel quale mi trovavo: la luce evanescente della Luna illuminava le rocce del monte sovrastante e il loro chiarore si confondeva a tratti con le diverse tonalità di grigio-bluastro degli alberi, e il tutto si stagliava alla perfezione dallo scuro cielo che mi faceva da tetto. Esso era molto intenso e a tratti velato da un sottile foglio di nuvola dove le stelle si percepivano a malapena. Difronte a tutto questo, calibrato il respiro e i sensi, presi i miei strumenti e iniziai a disegnare. Non avevo quasi mai provato a disegnare un paesaggio dal vero, anche se di camminate in montagna ne avevo fatte molte, sia con il fazzolettone Scout al collo sia senza. Nonostante il liceo artistico ammetto che a quell’epoca il disegno dal vero non era il mio forte, lo utilizzavo per lo più in modo veloce e istantaneo, come idea preliminare di qualcosa che doveva ancora trasformarsi diversamente: dopo alcune decine di minuti realizzai due disegni che non ritenni all’altezza di quel che stavo osservando intorno a me…ci riprovai ancora un paio di volte ma nulla di fatto. La scuola non ti insegna che per disegnare una cosa devi averla dentro il tuo sguardo più che mai, devi scoprirla con gli occhi, con i tuoi sensi e dentro te stesso; insegna al massimo che è tutta questione di mano. Forse è un po’ come in fotografia: un’immagine prima la si scatta con l’occhio e poi con la macchina fotografica, prima la si riconosce tra tante, la si sceglie e solo poi la si immortala se ne è necessario.

Ritornando su ricordi come questo mi sorge spontanea una domanda: ci siamo mai chiesti quanto sia importante ciò che abbiamo intorno? Le persone che incontriamo e quelle che teniamo a cuore sono certamente importanti, ma ci siamo mai chiesti come, nel nostro camminare frettolosamente da un punto ad un altro, i luoghi che attraversiamo e che viviamo condizionino fortemente il nostro modo di vivere? Nel nostro vivere quotidiano, anche nel più monotono e ripetitivo dei casi, esiste il susseguirsi di un fluire di luoghi, di paesaggi, di situazioni e di inevitabili cambiamenti.

Da questi pensieri e da questi ricordi è nata l’idea che sta alla base dell’idea “La città condivisa”, progetto sperimentale di Arte terapeutica realizzato con una classe seconda di una scuola statale media nella periferia di Monza: crescere bene in un luogo vuol dire avere un buon luogo dove crescere. Ed è da ciò che è nata l’idea di indagare l’ambiente, lo spazio come punto di partenza per una relazione terapeutica, come estensione di crescita che collabora pienamente con le attività che si svolgono in esso.

Di quale paesaggio o luogo si potrebbe parlare in un discorso come questo? Ovviamente gli orizzonti sono aperti a tutto e nel percorso ne sono stati affrontati molti scoprendo tra essi molte parole chiave che fanno riferimento alla quotidianità: ambiente e corpo, stanza e scuola, strada e relazione. Ed è proprio la scuola che comincia a farsi importante come spazio e luogo di vissuti e passaggi fondanti della vita di questi studenti. Come insegnanti e studenti possono farsi attori in primo piano in una scuola? Scuola come punto di unione tra persona e spazio. Una scuola che può essere intima ma allo stesso tempo condivisa!

Continua…

Testo di Francesco Serenthà

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