Scorpaccia(r)te

«L’arte non è un contorno, ma il piatto in cui mangiamo ogni giorno», un’espressione semplice, ma di effetto che usava dire spesso un mio professore di scultura, per indicare come il nostro “fare” quotidiano abbia tanto di creativo, oltre ad evidenziare l’arte come il principale apporto di energia, di sensazioni e di emozioni per il nostro fabbisogno immaginativo e fattivo quotidiano.
Tutti sappiamo che l’arte è uno dei linguaggi universali, trasversale a tutte le culture. Un linguaggio di cui il mondo ha sempre più bisogno e i bambini sembrano saperlo: l’entusiasmo, la naturalezza con cui entrano in contatto è motivo di ispirazione. Purtroppo nel discorso comune, più contemporanea è l’arte e più è vista come quanto più di lontano si possa immaginare dall’esperienza quotidiana: “fare arte” è solo per i più piccoli e non per i grandi.
Complicata, tenebrosa, macabra, soprattutto difficile: non si capisce niente… che ci fanno i baffi sulla Gioconda? E una ruota di bicicletta in un museo? E così via, fino a far diminuire anche l’attenzione su quella che viene considerata “ufficiale”. La forza di questi pregiudizi non impedisce il sorgere di una riflessione seria sulla portata e l’interesse di un incontro con l’arte. Si deve, quindi, parlare di educazione all’arte come una possibilità di promuovere una sensibilità nei confronti della produzione artistica, dalle origini ai giorni nostri, per incentivare un nuovo modo di guardare alla propria identità e alla propria storia. In tal senso lo spazio del museo è attivo e deve essere tale affinché si possa fare esperienza dell’arte, viverne i fondamenti, i processi, le poetiche, sperimentare metodi e tecniche, confrontarsi in modo nuovo con la propria realtà. Tutto ciò rientra in un campo definito “didattica dell’arte”, disciplina che si concentra sulla progettazione e sulla conduzione di attività educative, ponendo al centro la trasmissione di abilità e saperi propriamente artistici. Essa mira a un apprendimento attivo e partecipativo che presuppone, da una parte, l’incontro diretto con gli oggetti che rappresentano una testimonianza materiale dell’uomo e, dall’altra, l’utilizzo di metodologie didattiche interattive, pratiche e multisensoriali. Marco Dallari ci fornisce alcune indicazioni per avvicinarci all’arte: centrando il discorso sulla relazione fra pedagogia ed estetica, sottolinea come, in questa fusione, l’arte sia elemento utilissimo, addirittura indispensabile, ma non costituisca l’oggetto centrale dell’esperienza, non sia “testo” di riferimento ma di “pretesto”. Parlare di educazione all’arte significa allora accorgersi di come non si tratti di mettere in piedi un’attività ogni tanto, o di attivare un laboratorio a lato di altre attività, ma diviene stile fondamentale dell’educare. Tutto questo al fine di “vedere il mondo”, di progettarlo, di costruirlo, con occhi e mente resi più critici, curiosi e creativi grazie all’esperienza dell’incontro con l’arte. In un continuo processo di trasformazione e di ricerca, la didattica museale diviene strumento necessario in antitesi con le logiche di puro intrattenimento e “spettacolarizzazione” prodotte da una politica del consumo e da un sistema mediatico che predilige l’apparenza a scapito dei contenuti. Il museo viene così vissuto come luogo che dialoga con tutti i soggetti offrendo attività culturali e formative:

«Scoprendo un luogo dove avvicinarsi all’arte senza timore: percorrendo le sale del museo, sedendosi per terra, disegnando, tagliando, incollando […] vivere lo spazio museale come un luogo in cui si può lavorare, discutere, vivere rapporti di amicizia…».
(Cisotto Nalon M.)

Il museo deve essere vissuto sin dall’infanzia attraverso strumenti adeguati: ciascuno porta il proprio modo di percepire, di comprendere e di esprimere. E così che la storia, la scoperta, l’intuizione e la creatività si racchiudono in un luogo comune come testimonianza più significativa del vivere umano:

«Il più grande valore che il museo può avere è quello di stimolare l’immaginazione e risvegliare la curiosità, in modo tale da spingere a penetrare sempre di più a fondo il senso degli oggetti esposti e, soprattutto, comunicare un senso di venerazione per le meraviglie del mondo. Perché, in un mondo che non fosse pieno di meraviglia, non varrebbe davvero la pena di crescere ed abitare».
(Bettelheim B.)

Andare al museo significa vivere uno spazio attivo, deposito di memorie storiche, artistiche, ma anche dove incontrare l’altro per condividere quel «piatto in cui mangiamo». È il luogo deputato al confronto dialettico, anello di congiunzione fra l’opera d’arte e il visitatore. E così, il bambino o l’adulto che sia, può apprendere, fare esperienza dell’arte; viverne i fondamenti, i processi, le poetiche; sperimentarne i metodi e le tecniche; confrontarsi in modo nuovo con la propria realtà.
In questo contesto rientra un altro punto centrale della didattica dell’arte e museale ovvero la progettazione di laboratori creativi, in cui il momento del fare assume massima importanza. Si tratta del luogo di ricezione e produzione di saperi dove tutti sono invitati a un ruolo attivo nel processo di creazione e trasformazione, ma è soprattutto luogo di elaborazione e costruzione delle proprie identità: permette di allenare l’intelligenza e la creatività e soddisfa i bisogni primari dell’essere umano, quali la comunicazione, la socializzazione, il fare da sé, il movimento, la creatività e l’esplorazione. È lo spazio in cui poter consumare quel «piatto» senza restrizioni e limiti, ma con dei rituali dovuti. Si fa un’esperienza estetica, un’esperianza sensoriale da intendere come la capacità di “sentire”, di utilizzare i sensi e le emozioni. Ecco che il laboratorio diviene “cucina estetica” dove stimoliamo i sensi: alleniamo gli occhi a vedere, le orecchie a sentire, le mani a toccare.
I sapori, i colori, gli odori di quell’enorme «piatto» invitano sempre a farne esperienza per stare bene. Come si suol dire «la fame vien mangiando» e difficilmente l’essere umano smette di nustrirsi per poter vivere… perchè non vedere allo stesso modo l’arte?

Testo di Vittoria Pisani, Artista terapista e educatrice d’arte

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