Una delle cose belle del venerdì è la concessione da parte di mamma e papà di stare alzato più del solito… così Marco, finita la cena, se ne va in camera e si siede sul letto, si infila le cuffie nelle orecchie, e si mette ad ascoltare la sua musica preferita. Ripensa alla lezione di chitarra di quel pomeriggio, le cose stanno diventando piuttosto serie: ormai lui e il suo maestro Federico hanno abbandonato il puro esercizio e si stanno muovendo sui primi brani musicali moderni. Non è sempre una passeggiata: già a metà della lezione le sue povere dita assomigliano tanto alle famigerate parole sul foglio: non se ne stanno mai al posto loro. Anche se era assolutamente convinto di aver messo l’indice sulla seconda corda, e chissà come, invece, se lo ritrova al posto dell’anulare sulla terza e così via. Alla fine… che male alle dita! Però la fatica spesso è ripagata. Oggi Federico lo ha messo di fronte ad un nuovo brano, molto famoso a detta sua: Wish you were here dei Pink Floyd. Marco non lo ha mai sentito e oggi non è che ci abbia capito molto provando a suonarlo. Più che delle note ha in mente delle indicazioni confuse: terzo tasto della sesta corda, Hummer on sul secondo tasto della quinta corda e un Sacco di altre cose che… boh…. Non si ricorda. D’un tratto gli viene un’idea: Interrompe la canzone che sta ascoltando e digita sul tablet “Pink Floyd – Wish you were here” e fa partire la riproduzione. Marco si pone in ascolto: le note della chitarra acustica lo sorprendono. Alla fine Marco fa ripartire la canzone più e più volte: c’è qualcosa di magico in quel primo pezzo di chitarra acustica che non riesce ad afferrare completamente, però tutte quelle indicazioni che Federico gli aveva dato nel pomeriggio ora stanno trovando posto, si stanno sistemando dentro un puzzle in cui pian piano sta emergendo la figura. Dopo il quinto ascolto Marco toglie le cuffie, si alza, imbraccia la chitarra e…
Tutti coloro che si sono approcciati allo studio di uno strumento e di un brano musicale conoscono molto bene la soddisfazione di raggiungere l’obiettivo di eseguire un brano dall’inizio alla fine. La possibilità di risuonare le stesse note di una sonata di musica classica, la possibilità di far cantare la propria chitarra elettrica sulle note del riff iniziale di Sweet Child o’ mine, o semplicemente di accompagnare i propri amici con gli accordi di 50 Special sono tutte occasioni che regalano momenti di grande gioia. Lo stesso accade all’interno di una lezione musicale: dopo settimane di fatica, finalmente si giunge a quel risultato tanto agognato. Poniamoci ora nei panni di Marco però, la fatica della lettura, di trovare strategie per eseguire un brano, la fatica di memorizzare delle porzioni dello stesso, possono minare fortemente la motivazione di fronte grande sfida di padroneggiare l’esecuzione di un pezzo musicale.
Marco deve fari i conti innanzitutto con la memorizzazione del brano. Gli studenti con DSA fanno fatica nell’immagazzinare le informazioni in primo luogo perché hanno generalmente una grossa difficoltà nel gestire le stesse, che giungono a loro dall’ambiente: questa capacità viene detta memoria di lavoro ed è la nostra abilità, per l’appunto, di raccogliere “dati” e di manipolarli prima di immagazzinarli nella memoria lungo termine, sotto forma di ricordo. Se ci perdiamo per strada il materiale da elaborare è chiaro che, poi, quello che immagazzineremo sarà parziale o addirittura inutilizzabile. Una difficoltà del genere può essere sicuramente modificabile e migliorabile dallo studio musicale. Ora però vorremmo concentrarci su quella che è la motivazione, come detto sopra, e proporre una riflessione che parte dall’approccio al brano più che dare delle soluzioni per far fronte alla difficoltà di memoria e di esecuzione.
Suonare un brano musicale significa, innanzitutto, entrarci dentro, aprire una porta e sedersi all’interno di note, ritmo, emozioni e intenzioni. Per molti studenti, anche senza difficoltà di apprendimento, un brano musicale rimane uno spartito, una tablatura, un foglio con degli accordi fino a quando non lo si è studiato tutto. Partire dal particolare per poi arrivare al generale non è sempre la soluzione corretta. Partire invece dall’ascolto del brano che si vuole imparare non significa barare, fare il passo più lungo della gamba, ma immedesimarsi, entrare nei sentimenti dell’autore. Solo questo può dare la spinta giusta, la voglia di riproporre quella tensione emotiva, quella bellezza scaturita da quella melodia, da quell’armonia o quel ritmo particolare. Esattamente come non si può parlare di un quadro conoscendone solo un piccolo dettaglio, allo stesso modo non si può suonare un brano musicale senza averlo ascoltato, senza conoscerne, più che le note ad orecchio, le sfaccettature, le pieghe più delicate, i passaggi più struggenti. È questo che deve in primo luogo affascinare un allievo, soprattutto quando la spinta motivazionale è minata da una difficoltà maggiore nel ricordare e leggere la musica.
Questo ascolto, perché no, può arrivare dall’esecuzione del maestro stesso. Se portata all’interno della relazione di insegnamento, non si tratterà solo di un bell’esercizio di stile, un modo per esaltare la bravura dell’insegnante a discapito dello studente, ma un punto di partenza che, per tutti i “Marco” sparsi per le aule di musica, è anche un punto di arrivo, un modello da seguire e raggiungere.
Per il momento lasciamo Marco così, in compagnia della sua chitarra e con delle note tra le dita, ancora esitanti e impacciate, ma che sono i primi passi all’interno di un mondo che per lui non rappresenta solo un hobby, ma, così come per tanti altri ragazzi come Marco, una possibilità di crescere e scoprire risorse nuove dentro di sé.
Testo di Mattia Tagliani